The passenger. Parigi
Autori: AA.VV
anno: 2020
pag. 192
Niente è come sembra in questa città, a cominciare dalle sue dimensioni, ridotte se si guarda solo al nucleo di venti arrondissement, con poco più di due milioni di abitanti, ma seconda in Europa se si considera – come dev’essere – tutta l’Île-de-France. La distanza tra centro e periferia riproduce in scala quella ancor più marcata tra la capitale e il resto del paese, secondo una tradizione di ferreo centralismo. Questa forza centripeta produce quasi un terzo del Pil e crea un quarto dei posti di lavoro della Francia, ma un movimento di direzione opposta sembra respingere i nuovi arrivati, sia francesi che stranieri, relegandoli ai margini, che possono essere quelli geografici e sociali di una banlieue abbandonata, come quelli più sottili di chi vive sì in centro ma viene considerato dai parigini un corpo estraneo, un provinciale.
Il riflesso della città delle luci può essere accecante persino per i turisti: lo scontro con la città reale, così diversa da quella amata nei film e nei libri, per alcuni di loro sfocia addirittura nella cosiddetta «sindrome di Parigi». Ma anche le zone d’ombra sembrano allungarsi: gli attacchi terroristici del Bataclan, le manifestazioni dei gilet gialli, le rivolte nelle banlieue, Notre-Dame in fiamme, ondate di caldo record e il coronavirus. Più silenziosamente, un boom immobiliare che sta svuotando la città dei suoi abitanti. Non è solo una serie di eventi sfortunati: sono fenomeni – dalla densità abitativa al cambiamento climatico, dall’immigrazione alle ripercussioni della globalizzazione e della geopolitica – che tutte le metropoli del mondo dovranno affrontare.
E a Parigi, oggi, l’aria che tira non è di sconfitta ma di rinnovamento: dalla svolta ambientalista e urbanistica in corso – il sogno di una città fatta di tanti piccoli centri, finalmente collegati tra loro – a una generazione di chef in lotta contro il classismo delle stelle, dai figli di immigrati che scendono in piazza per il diritto di sentirsi francesi alle donne che si strappano di dosso uno stereotipo che l’impero della moda ha creato per loro. C’è qualcuno che pensa sul serio di poter insegnare ai parigini come si fa una rivolta?
Autori: AA.VV
anno: 2020
pag. 192
Niente è come sembra in questa città, a cominciare dalle sue dimensioni, ridotte se si guarda solo al nucleo di venti arrondissement, con poco più di due milioni di abitanti, ma seconda in Europa se si considera – come dev’essere – tutta l’Île-de-France. La distanza tra centro e periferia riproduce in scala quella ancor più marcata tra la capitale e il resto del paese, secondo una tradizione di ferreo centralismo. Questa forza centripeta produce quasi un terzo del Pil e crea un quarto dei posti di lavoro della Francia, ma un movimento di direzione opposta sembra respingere i nuovi arrivati, sia francesi che stranieri, relegandoli ai margini, che possono essere quelli geografici e sociali di una banlieue abbandonata, come quelli più sottili di chi vive sì in centro ma viene considerato dai parigini un corpo estraneo, un provinciale.
Il riflesso della città delle luci può essere accecante persino per i turisti: lo scontro con la città reale, così diversa da quella amata nei film e nei libri, per alcuni di loro sfocia addirittura nella cosiddetta «sindrome di Parigi». Ma anche le zone d’ombra sembrano allungarsi: gli attacchi terroristici del Bataclan, le manifestazioni dei gilet gialli, le rivolte nelle banlieue, Notre-Dame in fiamme, ondate di caldo record e il coronavirus. Più silenziosamente, un boom immobiliare che sta svuotando la città dei suoi abitanti. Non è solo una serie di eventi sfortunati: sono fenomeni – dalla densità abitativa al cambiamento climatico, dall’immigrazione alle ripercussioni della globalizzazione e della geopolitica – che tutte le metropoli del mondo dovranno affrontare.
E a Parigi, oggi, l’aria che tira non è di sconfitta ma di rinnovamento: dalla svolta ambientalista e urbanistica in corso – il sogno di una città fatta di tanti piccoli centri, finalmente collegati tra loro – a una generazione di chef in lotta contro il classismo delle stelle, dai figli di immigrati che scendono in piazza per il diritto di sentirsi francesi alle donne che si strappano di dosso uno stereotipo che l’impero della moda ha creato per loro. C’è qualcuno che pensa sul serio di poter insegnare ai parigini come si fa una rivolta?
Autori: AA.VV
anno: 2020
pag. 192
Niente è come sembra in questa città, a cominciare dalle sue dimensioni, ridotte se si guarda solo al nucleo di venti arrondissement, con poco più di due milioni di abitanti, ma seconda in Europa se si considera – come dev’essere – tutta l’Île-de-France. La distanza tra centro e periferia riproduce in scala quella ancor più marcata tra la capitale e il resto del paese, secondo una tradizione di ferreo centralismo. Questa forza centripeta produce quasi un terzo del Pil e crea un quarto dei posti di lavoro della Francia, ma un movimento di direzione opposta sembra respingere i nuovi arrivati, sia francesi che stranieri, relegandoli ai margini, che possono essere quelli geografici e sociali di una banlieue abbandonata, come quelli più sottili di chi vive sì in centro ma viene considerato dai parigini un corpo estraneo, un provinciale.
Il riflesso della città delle luci può essere accecante persino per i turisti: lo scontro con la città reale, così diversa da quella amata nei film e nei libri, per alcuni di loro sfocia addirittura nella cosiddetta «sindrome di Parigi». Ma anche le zone d’ombra sembrano allungarsi: gli attacchi terroristici del Bataclan, le manifestazioni dei gilet gialli, le rivolte nelle banlieue, Notre-Dame in fiamme, ondate di caldo record e il coronavirus. Più silenziosamente, un boom immobiliare che sta svuotando la città dei suoi abitanti. Non è solo una serie di eventi sfortunati: sono fenomeni – dalla densità abitativa al cambiamento climatico, dall’immigrazione alle ripercussioni della globalizzazione e della geopolitica – che tutte le metropoli del mondo dovranno affrontare.
E a Parigi, oggi, l’aria che tira non è di sconfitta ma di rinnovamento: dalla svolta ambientalista e urbanistica in corso – il sogno di una città fatta di tanti piccoli centri, finalmente collegati tra loro – a una generazione di chef in lotta contro il classismo delle stelle, dai figli di immigrati che scendono in piazza per il diritto di sentirsi francesi alle donne che si strappano di dosso uno stereotipo che l’impero della moda ha creato per loro. C’è qualcuno che pensa sul serio di poter insegnare ai parigini come si fa una rivolta?